Studio Rossi Napolitano

Trascrizione del testo

Seneca saluta il suo Lucilio.
Mio caro Lucilio,
Ti scrivo, amico mio, preoccupato per ciò che osservo intorno a me e, ancor più, per ciò che intuisco accade nella tua vita. Mi racconti di come il tuo tempo sia divorato da impegni incessanti, di come le tue giornate siano frammentate in mille attività che ti lasciano esausto eppure insoddisfatto. Ti riconosco in questa condizione, poiché è la malattia del nostro tempo.
Vedi, Lucilio, gli uomini moderni hanno creato un culto della produttività che supera persino la venerazione che i nostri antenati dedicavano agli dèi. Almeno gli antichi, nelle loro superstizioni, riservavano momenti di contemplazione; voi invece avete eretto altari all’efficienza diove sacrificate continuamente pezzi della vostra anima.
Mi chiedi: “Chi siamo quando non produciamo?” Domanda eccellente, che rivela già una mente che inizia a risvegliarsi. Lascia che ti risponda: siamo esattamente allora che siamo più autenticamente noi stessi. Come l’oro si rivela nella fornace, così l’essenza dell’uomo si manifesta non nella frenesia dell’azione, ma nella calma della contemplazione.
Osservo come vi agitate intorno a questi dispositivi luminosi che chiamate “schermi”, come attendete con ansia segnali e “notifiche” che confondete con connessioni reali. Li consultate con la stessa devozione con cui un tempo si consultavano gli oracoli, ma mentre gli oracoli almeno promettevano saggezza, questi offrono solo distrazione.
Hai notato, Lucilio, che più strumenti possedete per liberarvi dalla fatica, più sembrate affaticati? È un paradosso che meriterebbe riflessione, se solo vi concedeste il tempo di riflettere. I vostri schi catene, più sottili ma non meno opprimenti.
Continuerò-
Ave,
Seneca