Una volta ti scrissi: “Nessuno è libero se è schiavo del proprio corpo”. Oggi, osservando il tuo rapporto con il tuo dispositivo, mi trovo a dover aggiungere: nessuno è libero se è schiavo del proprio smartphone.
Mi descrivi il tuo disagio quando ti separi dal dispositivo. Il senso di mancanza, quasi di amputazione, quando lo lasci a casa. L’ansia che cresce mentre la batteria si esaurisce. Il riflesso pavloviano di controllarlo appena ti svegli, prima ancora di salutare chi ti dorme accanto.
Questi sono, mio caro amico, i sintomi di una nuova forma di schiavitù. Non più catene di ferro che legano il corpo, ma fili invisibili di dipendenza che legano la mente.
Gli stoici praticano regolarmente esercizi di privazione volontaria. Digiunare quando si è circondati dal cibo, vestirsi semplicemente quando si potrebbero sfoggiare abiti lussuosi, dormire su un letto duro quando si potrebbe godere del massimo comfort. Tutto per ricordare che possiamo vivere bene anche senza ciò che crediamo indispensabile.
Ti propongo un esercizio simile per il tuo dispositivo. Una volta alla settimana, lascialo completamente spento per 24 ore. Non “in modalità silenziosa”, non “in un’altra stanza”, ma completamente inattivo. Osserva le emozioni che questa privazione suscita. Nota l’impulso di controllarlo, la preoccupazione di “perderti qualcosa”, l’irrequietezza che ne deriva.
E poi, gradualmente, osserva come questi sentimenti si attenuano. Come la mente trova altri modi per occuparsi. Come l’attenzione si sposta verso esperienze immediate e concrete. Come, forse, emerge una sensazione di libertà dimenticata.
“La necessità ci costringe, l’abitudine ci conduce”, ti dissi una volta. Oggi aggiungo: spezza l’abitudine per ritrovare la libertà.
Verso la tua liberazione, Seneca