Studio Rossi Napolitano

Trascrizione del testo

Salve, Lucilio mio.
Ti scrivo oggi dai meandri di questo nuovo mondo che chiamano “digitale”, uno spazio senza confini dove le parole viaggiano alla velocità del pensiero e dove tutti, anche i più umili, possono ergersi a maestri di saggezza. È proprio di questo che voglio parlarti: dell’insidia della presunzione che si nasconde dietro il desiderio di esprimere sé stessi.
Ho incontrato le parole nel futuro di un uomo di rara sensibilità che ha colto l’essenza di un male che affligge tanto il suo tempo quanto il nostro: la convinzione di avere sempre qualcosa di importante da dire, di essere portatori di un messaggio unico e indispensabile.
Ricorda che i più grandi filosofi non sono quelli che proclamano verità, ma quelli che sollevano domande. Socrate stesso, l’uomo più saggio di Atene, sapeva di non sapere, e in questo riconoscimento risiedeva la sua grandezza.
La vera saggezza, Lucilio, sta nell’umiltà di riconoscere che forse non abbiamo nulla di nuovo da dire. Che le nostre parole sono echi di altre parole, i nostri pensieri riflessi di altri pensieri. La vera connessione umana non nasce dalla proclamazione delle nostre certezze, ma dalla condivisione delle nostre fragilità.
Come dice il poeta, saremmo “più vicini” gli uni agli altri se parlassimo delle nostre “paure”, dei “sogni svaniti”, dei “progetti e inibizioni”. È nella vulnerabilità, non nella presunzione, che troviamo il terreno comune dell’umanità.
Ti invito quindi, amico mio, a praticare un nuovo tipo di retorica: quella del dubbio e della domanda, della confessione e dell’ascolto. Prima di parlare, chiediti sempre: “È davvero necessario che io aggiunga la mia voce al coro? Ho qualcosa da dire che meriti davvero di essere ascoltato?”.
E se decidi di parlare, fallo con la consapevolezza che potrebbe essere più saggio tacere. Parla come uno che sa di non sapere abbastanza. Scrivi come uno che sa che le sue parole sono solo tentativi, non verità assolute.
In questo mondo digitale, dove l’eco delle nostre parole può durare in eterno, l’umiltà è più necessaria che mai. Non lasciare che la presunzione di essere diverso dagli altri ti allontani dalla saggezza che risiede nell’accettazione della tua comune umanità. Con semplicità.
Ti lascio con un paradosso: forse è proprio nell’ammettere che non abbiamo nulla di speciale da dire che troviamo il nostro messaggio più autentico, è quando si è deboli che si è davvero forti.
Vale, Lucilio mio. Che la ricerca dell’umiltà ti accompagni nei tuoi giorni anche rileggendo la poesia da cui ho attinto: il suo titolo è “Senza umiltà” e….il poeta è Massimo Troisi.
Seneca